mercoledì 28 ottobre 2009

Non sarà facile ma sai si muore un po' per poter vivere

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desine blanditias et verba, potentia quondam,
perdere -- non ego nunc stultus, ut ante fui!
Luctantur pectusque leve in contraria tendunt
hac amor hac odium, sed, puto, vincit amor.
odero, si potero; si non, invitus amabo.
nec iuga taurus amat; quae tamen odit, habet.
nequitiam fugio -- fugientem forma reducit;
aversor morum crimina -- corpus amo.
sic ego nec sine te nec tecum vivere possum,
et videor voti nescius esse mei.

Non sprecare le tue lusinghe, un tempo tanto forti:
non sono stupido come una volta.
Lottano e tirano il mio cuore leggero da parti opposte,
l'amore di qui, di là l'odio; ma credo che vinca l'amore.
Se ci riuscirò ti odierò; se no, ti amerò controvoglia:
neanche il toro ama il giogo; lo odia, però se lo tiene.
Vorrei fuggire dalla tua dissolutezza,
ma la tua bellezza mi richiama;
non mi piace il tuo modo di fare, ma il tuo corpo lo amo.
Così non posso vivere né senza di te né con te
e mi sembra di non ricordarmi neppure ciò che mi sono promesso.

Ovidio, Amores, III XIa-b

Stasera l'ho rivista in palestra. Si è tagliata i capelli in maniera ridicola, ma il faccino è sempre il suo. Dio! E' proprio carina! E com'era morbida quando l'abbracciavo. Com'era tiepida quando eravamo insieme nel letto. Com'era dolce quando facevamo l'amore.
Già: e adesso l'amore lo fa con un altro; una specie di topo muschiato con un naso di 20 centimetri e un cazzo di 2. Probabilmente è dolcissimo; probabilmente le dice sempre di sì; probabilmente la segue sempre, come il chihuahua la padrona, che lo liscia - "carino!" - pronta a prenderlo a pedate nel culo quando è stufa.

Sono scemo, lo so. L'amo ancora, e non la voglio amare. La voglio ancora, e non la posso avere. Vorrei stare con lei, vicino a lei, unito a lei per riempirla di schiaffi. Lo so: roba vecchia come il mondo. Già Ovidio... Ok. Farò come vuole Gianfranco: mi guarderò in giro. E intanto canterò...

Insieme a te non ci sto più
guardo le nuvole lassù
cercavo in te la tenerezza che non ho
la comprensione che non so
trovare in questo mondo stupido.

martedì 27 ottobre 2009

La stoonza

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Che cos'è un bacio? Un apostrofo rosa tra le parole "t'amo".

Edmond Rostand (Messaggio n. 36 dall'album dei Baci Perugina)

«Certo che è una stoonza». Me lo diceva stasera Meri davanti alla macchinetta, mentre mescolavo il mio caffè e osservavo la palettina creare piccole onde nella crema bianca e tabacco che si arricciava verso il centro del bicchiere. Stoonza non è proprio come stronza. Non è un'offesa: è un pensiero che si leva come una voluta di fumo dalla tazza e si disperde senza fare male. Non è una parolaccia: è un moto dell'animo morbido e pastoso che si leva dal cuore agitato, come la crema del caffè quando lo mescoli.
Non è un'imprecazione: è un soffio di mite indignazione che si curva nel dolcissimo svolazzo di una r e che resta come lo sbaffo del caffè dopo il piacere di averlo gustato lentamente.
La stoonza è lei, che quando passa tutti li saluta tranne me. E a volte, se mi sono vicini, li chiama pure, come a dire "Toh, beccatela! Loro sì che si meritano il mio affetto! Loro sì che si meritano la mia amicizia! Loro sì che si meritano il mio saluto!". O anche: "Vedi quanti amici ho, io? Vedi quante persone che mi vogliono bene? StRonzo!". Che poi, a ben vedere, il bene che le volevo io è stata lei a buttarlo a mare (per non dire altrove, restando in tema!). Ma sono dettagli.
Un po' mi dispiace che dica così: con la stoonza ci sono stato un anno e mezzo, non due sere. E poi non è un po' come dire: " Ma come diavolo hai fatto a non accorgertene? Allora sei scemo!"? Lei no, invece. Non si preoccupa e dello stronzo me lo da tranquillamente.
Che cosa strana! Dall'amore all'odio nel tempo di una telefonata. Dagli abbracci appassionati alla distanza esibita. Dai baci agli improperi. Ma in fondo, questa è lavita. E poi, che cos'è uno "Stoonza!"? Un apostrofo nero tra le parole "t'amavo".

lunedì 26 ottobre 2009

Vis grata puellis

Oscula qui sumpsit, si non et cetera sumet,
Haec quoque, quae data sunt, perdere dignus erit.
Quantum defuerat pleno post oscula voto?
Ei mihi, rusticitas, non pudor ille fuit.
Vim licet appelles: grata est vis ista puellis:
Quod iuvat, invitae saepe dedisse volunt

Chi ha colto i baci, se non non coglie il resto,
è ben degno di perdere anche ciò che ha avuto!
Cosa sarebbe mancato a raggiungere il fine dopo di quelli?
Ahimè, sarebbe salvatichezza, non pudore!
Chiamala pure violenza! Questa violenza piace alle donne:
vogliono dare come per forza, ciò che a loro piace!

Ovidio, Ars amatoria, Liber I, l. 669-674

Gianfranco, un amico della palestra, un po' se la ride: "Roba vecchia come il mondo! Non te la prendere! Passerà!" e mi fa il Ferrandini (Teorema: Prendi una donna, trattale male...) in salsa ovidiana. Il Ferrandini in salsa ovidiana in palestra? Beh, mica siamo tutti dei cinghiali che si limitano a grugnire sotto i bilancieri! Grugniamo quel tanto che basta, ma conversiamo anche, tra una serie e l'altra! E poi, mi dice, l'hai lasciata tu solo tecnicamente: in realtà tu hai alzato l'ultima cornetta! Che cosa ha fatto lei per salvare la storia? E poi non eri l'uomo della sua vita? Perché non ti ha richiamato? Anzi: perché sta già con un altro e invece tu come un tacchino pronto per l'arrosto sei ancora solo? "Ma guardati in giro, cazzo!".

Dannato Gianfranco: E quando per la barba il viso chiese / Ben conobbi 'l velen dell'argomento.* Ha ragione! Ma perché gli uomini, a volte, sono così fessi?

* Dante, Commedia, Purgatorio, XXXI, 74-75

domenica 25 ottobre 2009

Prolegomena

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Ma il mio pensiero era solo di dolore per lei perduta, e i miei occhi s'appuntavano sulla Luna per sempre irraggiungibile, cercandola.

Italo Calvino, La distanza della luna, in Tutte le Cosmicomiche, Milano, Mondadori, 1997, pp. 23-24

È successo un paio di mesi fa, più o meno: abbiamo chiuso tutto con una telefonata. "Beh, ok. Io non ti chiamo più. Se cambi idea ti fai sentire tu". Naturalmente non ha cambiato idea. Io un po' sì un po' no, ma non ho telefonato.

D'altra parte gli ultimi mesi erano stati tutti un prendersi e un lasciarsi, un tira e molla di rabbia e di ripicche, di momenti dolcissimi di sesso e di sorrisi, di querimonie estenuanti e promesse di residua eternità.

Com'è strano che le cose possano finire così, in un momento. Il flusso della vita ha queste discontinuità e noi non ce ne rendiamo conto, immersi come siamo nella broda del fare e del finire di tutti i giorni. Poi, certo, te ne accorgi: un attimo, e le cose cambiano. Un gomito del fiume, tu infili un ramo e il paesaggio è un altro, e tu sempre lo stesso. È una cosa straniante, che lascia stupefatti. Di più: istupiditi.

Avevo sempre pensato che le cose sarebbero state sempre quelle che erano, e che del resto, in fondo, non me ne importava più di tanto, e invece... quanto male. Uno sciabordio leggero, un attimo di distrazione e ti trovi con il cuore che ti scoppia. E il bello è che non riesco neanche a gridare. Solo a scrivere queste quattro baggianate.