venerdì 6 novembre 2009

... che vanno e vengono

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Sun staa l'incüdin e quai volta el martèll
ho dato retta al cuore e quai volta a l'üsèll
nel böcc de la chitàra ho scondüü questa vita
sia i pàgin in rùss che quii scrivüü a matita…

Sono stato l'incudine e anche il martello
ho ascoltato il mio cuore e a volte l'uccello
dentro nella chitarra ho nascosto la vita
sia le pagine in rosso che quelle a matita.

Davide Van de Sfroos, La balada del Genesio, dall'album Breva e Tivan, 1999

Ci siamo trovati, dopo il convegno, al Klee Pub, in via Arimondi. È un posto pieno di gente e di rumore; forse più per ragazzi che per noi, ma ce lo avevano segnalato, e l'anima yuppie di alcuni aveva prevalso. Un cocktail per lei, una birra per me; quattro chiacchiere rubate tra un brano musicale e l'altro; gente che andava e che veniva; bottiglie, bicchieri e vassoi; panini, bruschette, pizze; risa, grida, parole; profumi e sudore; in bagno odore di piscio. È bastato uno sguardo: "Andiamo?" - "Andiamo!".
Siamo tornati all'albergo. Abbiamo camminato un po' mentre la sera si faceva notte parlando del più e del meno, delle cose che facciamo, della famiglia, dei suoi figli, dei libri, di musica e del tempo andato. In piazza Pretoria, a due passi dall'albergo ci siamo fermati.
Non c'era nessuno. Un angolo della piazza era al buio: due lampioni erano spenti. Un terzo tremolava moribondo. La luna imbiancava di sbieco la fontana: putti, silfidi ed eroi, scale e gradini, e i fiotti leggeri dell'acqua che gorgogliava nella conca erano come sospesi in una luce color cenere. Di fronte a noi le volute barocche sui contrafforti della chiesa di S. Giuseppe sprofondavano in un'ombra geometrica che si proiettava sul palazzo neoclassico a sinistra.
Lì nel silenzio, sotto lo sguardo di una benevola cariatide, l'ho baciata.

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