martedì 17 novembre 2009

Verba volant...

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Vanne a Tolosa, ballatetta mia,
ed entra quetamente a la Dorata,
ed ivi chiama che per cortesia
d'alcuna bella donna sie menata
dinanzi a quella di cui t'ho pregata;
e s'ella ti riceve,
dille con voce leve:
- Per merzé vegno a voi - .

Guido Cavalcanti, Era in penser d'amor quand' i' trovai (Rime, XXX, 45-52)

Ora è già a Roma, con suo figlio, con suo marito; ed è giusto così. Le strade di noi tutti sono tortuose: chi imbocca un'uscita, chi tira dritto... E ci si trova poi nel medesimo autogrill: un caffè insieme e via, ognuno per la sua.

Fuori dalla finestra dello studio due lampioni gialli tagliano la foschia del 17 novembre. Silhouette nere si stemperano nel nero del cielo, ma qui e là si accendono finestre calde di luce.
Dio, come vorrei che fosse qui! Per stringerla ancora a me. Sfiorarle il collo con le dita e vederla rabbrividire. Baciarne piano la pelle tiepida e profumata mentre chiude gli occhi. Cercarne i morbidi seni e sentirla tremare...

Canzone trovala se puoi
dille che l'amo e se lo vuoi
va' per le strade e tra la gente
diglielo veramente
non può restare indifferente
e se rimane indifferente
non è lei.

Lucio Dalla, Canzone, dall'album 12000 Lune (2006)

venerdì 6 novembre 2009

... che vanno e vengono

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Sun staa l'incüdin e quai volta el martèll
ho dato retta al cuore e quai volta a l'üsèll
nel böcc de la chitàra ho scondüü questa vita
sia i pàgin in rùss che quii scrivüü a matita…

Sono stato l'incudine e anche il martello
ho ascoltato il mio cuore e a volte l'uccello
dentro nella chitarra ho nascosto la vita
sia le pagine in rosso che quelle a matita.

Davide Van de Sfroos, La balada del Genesio, dall'album Breva e Tivan, 1999

Ci siamo trovati, dopo il convegno, al Klee Pub, in via Arimondi. È un posto pieno di gente e di rumore; forse più per ragazzi che per noi, ma ce lo avevano segnalato, e l'anima yuppie di alcuni aveva prevalso. Un cocktail per lei, una birra per me; quattro chiacchiere rubate tra un brano musicale e l'altro; gente che andava e che veniva; bottiglie, bicchieri e vassoi; panini, bruschette, pizze; risa, grida, parole; profumi e sudore; in bagno odore di piscio. È bastato uno sguardo: "Andiamo?" - "Andiamo!".
Siamo tornati all'albergo. Abbiamo camminato un po' mentre la sera si faceva notte parlando del più e del meno, delle cose che facciamo, della famiglia, dei suoi figli, dei libri, di musica e del tempo andato. In piazza Pretoria, a due passi dall'albergo ci siamo fermati.
Non c'era nessuno. Un angolo della piazza era al buio: due lampioni erano spenti. Un terzo tremolava moribondo. La luna imbiancava di sbieco la fontana: putti, silfidi ed eroi, scale e gradini, e i fiotti leggeri dell'acqua che gorgogliava nella conca erano come sospesi in una luce color cenere. Di fronte a noi le volute barocche sui contrafforti della chiesa di S. Giuseppe sprofondavano in un'ombra geometrica che si proiettava sul palazzo neoclassico a sinistra.
Lì nel silenzio, sotto lo sguardo di una benevola cariatide, l'ho baciata.

lunedì 2 novembre 2009

Strani amori...

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M'è tucaa imparà che la röeda la gira
che ogni tant se stravacca el büceer de la bìra
tra furtöena e scarogna gh'è una corda che tira
quaand che el diàvul el pìca el ciàpa la mira…

Ho dovuto imparare che la ruota, lei gira
che ogni tanto rovesci il bicchiere di birra
Tra fortuna e scarogna c'è una corda che tira
quando il diavolo stocca lui prende la mira

Davide Van de Sfroos, La balada del Genesio, dall'album Breva e Tivan, 1999

A Palermo il primo di novembre è ancora estate; il cielo è azzurro, il sole caldo. Nel pomeriggio è di troppo anche la giacca e c'è chi azzarda un po' di spiaggia. Qualche ragazzo si butta persino nell'acqua, ma dev'essere gelida, a giudicare da come grida.
In città sono arrivato ieri pomeriggio per un convegno. Il viaggio non è stato niente di speciale; ho fatto il solito tragitto: automobile casa-Linate, aereo Linate-Punta Raisi, trenino Punta Raisi-Palermo centrale, piedi Palermo centrale-Albergo Sole, ai Quattro canti. Vi ho trovato i colleghi e gli amici di sempre: "Ciao Luca, come va?"; "Marco! E' un po' che non ci vediamo... tutto bene? Lavoro? A casa?"; "Tutto a posto, grazie, e tu? I bambini? Tua moglie?"; "Mario, ma quando ci vediamo per un aperitivo? Anche una cena, dài! Possibile che non ci si riesca mai di combinare?". Rituali, per lo più. Desemantizzate procedure di riconoscimento; canoniche aperture di credito esistenziale; blandi sovvenimenti di giorni in cui c'era miglior confidenza.
Non è sempre così, naturalmente. Al convegno di quest'anno, per esempio, c'era anche Carla. Con lei è stato diverso. Carla è un'amica speciale: bella, intelligente, dolce, empatica. Sembrerebbe finta, e invece c'è. Esiste davvero! Non troppo alta, vita stretta, ha le gambe toniche di chi non ha mai smesso di fare attività fisica. È bruna, con i capelli castani alla spalla e due occhi scuri a volte neri come il cielo senza stelle. Ha un bel viso ovale, leggermente stretto verso il mento e la carnagione olivastra, appena abbronzata; due labbra non sottili e non carnose, ben disegnate, e un sorriso genuino e affettuoso che le increspa sempre il volto. È vicina, capisce, sa.
Non la vedo da due anni: ora abita a Roma, è sposata e ha un bambino, e quindi non sempre partecipa alle riunioni plenarie. Tempo fa siamo stati insieme; insieme abbiamo fatto il dottorato, lei da esterna; poi ci siamo lasciati, ma solo perché non riuscivamo a vivere un rapporto normale, così lontani l'uno dall'altra, io a Milano e lei a Latina. Ma siamo stati bene; ed è finito senza liti, senza rabbia, senza rancore: abbiamo prese strade diverse, conosciuto altre persone, fatto altre esperienze.
"Ciao Carla, come va? Sono felice di vederti, davvero!". Sorride. La abbraccio; le do un bacio sulla guancia, un bacio sull'altra; sento il suo fianco morbido e cedevole sulle mani appena appoggiate; sento il tepore della sua pelle sulle mie labbra; sento il suo profumo. Dio quanti ricordi in un solo istante! Chiudo gli occhi, sfrego piano la guancia sulla sua, indugio un po'... non si tira indietro. Mi allontano io, e mentre la guardo negli occhi ho come l'impressione di cogliere un lampo di pupille che si dilatano, forse un leggero imbarazzo. "Tutto bene, grazie! Anch'io sono contenta di vederti".
Le chiedo se resta tutti e tre i giorni e se alloggia al Sole. Mi dice di sì: "Bene, bene... allora stiamo vicini, così chiacchieriamo un po'...". Sento una strana tensione dentro; qualcosa che mi stringe un po' lo stomaco e che mi fa il fiato corto. Ma è una sensazione piacevole. Anzi... fantastica!